Google This is a digitai copy of a book that was prcscrvod for gcncrations on library shclvcs bcforc it was carcfully scannod by Google as pan of a project to make the world's books discoverablc online. It has survived long enough for the copyright to expire and the book to enter the public domain. A public domain book is one that was never subjcct to copyright or whose legai copyright terni has expired. Whether a book is in the public domain may vary country to country. Public domain books are our gateways to the past, representing a wealth of history, culture and knowledge that's often difficult to discover. Marks, notations and other maiginalia present in the originai volume will appear in this file - a reminder of this book's long journcy from the publisher to a library and finally to you. Usage guidelines Google is proud to partner with libraries to digitize public domain materials and make them widely accessible. Public domain books belong to the public and we are merely their custodians. Nevertheless, this work is expensive, so in order to keep providing this resource, we have taken steps to prcvcnt abuse by commercial parties, including placing technical restrictions on automatcd querying. We also ask that you: + Make non-C ommercial use ofthefiles We designed Google Book Search for use by individuai, and we request that you use these files for personal, non-commerci al purposes. + Refrain from automated querying Do noi send aulomated queries of any sort to Google's system: If you are conducting research on machine translation, optical character recognition or other areas where access to a laige amount of text is helpful, please contact us. We encourage the use of public domain materials for these purposes and may be able to help. + Maintain attributionTht GoogX'S "watermark" you see on each file is essential for informingpeopleabout this project andhelping them lind additional materials through Google Book Search. Please do not remove it. + Keep il legai Whatever your use, remember that you are lesponsible for ensuring that what you are doing is legai. Do not assume that just because we believe a book is in the public domain for users in the United States, that the work is also in the public domain for users in other countries. Whether a book is stili in copyright varies from country to country, and we cani offer guidance on whether any speciflc use of any speciflc book is allowed. Please do not assume that a book's appearance in Google Book Search means it can be used in any manner anywhere in the world. Copyright infringement liabili^ can be quite severe. About Google Book Search Google's mission is to organize the world's information and to make it universally accessible and useful. Google Book Search helps rcaders discover the world's books while helping authors and publishers reach new audiences. You can search through the full icxi of this book on the web at |http : //books . google . com/| Google Informazioni su questo libro Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Google nell'ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo. Ha sopravvissuto abbastanza per non essere piti protetto dai diritti di copyriglit e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio è un libro che non è mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblico dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l'anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico, culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire. Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggio percorso dal libro, dall'editore originale alla biblioteca, per giungere fino a te. Linee guide per l'utilizzo Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili. I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per poter continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l'utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa l'imposizione di restrizioni sull'invio di query automatizzate. Inoltre ti chiediamo di: + Non fare un uso commerciale di questi file Abbiamo cotìcepiloGoogìcRiccrciì Liba per l'uso da parte dei singoli utenti privati e ti chiediamo di utilizzare questi file per uso personale e non a fini commerciali. + Non inviare query auiomaiizzaie Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, ti invitiamo a contattarci. Incoraggiamo l'uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto. + Conserva la filigrana La "filigrana" (watermark) di Google che compare in ciascun file è essenziale per informare gli utenti su questo progetto e aiutarli a trovare materiali aggiuntivi tramite Google Ricerca Libri. Non rimuoverla. + Fanne un uso legale Indipendentemente dall'udlizzo che ne farai, ricordati che è tua responsabilità accertati di fame un uso l^ale. Non dare per scontato che, poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stati Uniti, sia di pubblico dominio anche per gli utenti di altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è protetto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un determinato uso del libro è consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che può essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere molto severe. Informazioni su Google Ricerca Libri La missione di Google è oiganizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e finibili. Google Ricerca Libri aiuta i lettori a scoprire i libri di tutto il mondo e consente ad autori ed edito ri di raggiungere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web nell'intero testo di questo libro da lhttp: //books. google, coral e V 2U- i )e/p/. A -^ "i'^iX^^'t:- OXFORD TOMi 2et) DELL'OREFICERIA ARTIGÀ iiimwiMW AUGUSTO CASTELLANI. DELL'OREFICERIA ANTICA DISCORSO DI AUGUSTO CASTELLANI FIRENZE. COI TIPI DI FELICE LE MONNIER. 1862. FORTUNATO PIO CASTELLANI. -- ^!k€€'®<0^ ' In occasione della vendita fatta dai Governo pof%- lificio all' Imperatore de' Francesi dei Musei di oggetti antichi e rarissimi, raccolti in Roma dai Marchese Cam- pana, ebbi come a dir, tra mano per lo spazio di cin- qtie mesi, tutti quanti i gioielli componenti quel pre- zioso cimelio. E ciò fu perchè io dovetti riparare i danni a quelli recati dalla negletta giacitura, in che erano stati per incuria di coloro i quali gli avevano in depo-- sito negli armadi del Sacro Monte di Pietà. Essendo dunque stato incaricato insieme aW illustre professore Brunn, segretario dell' Istituto archeologico del Campidoglio, di ordinare e descrivere il stiddetto cimelio, mi valsi delt opportunità per ristudiare V arte antica delP oreficeria in tutte le sue parti, notare ogni piif, lieve differenza di stile, di tempo e di nazione, e vedere V ìaso e la storia degli ornamenti per essa prò- dotti, acquistando così nuove cognizioni, e compiendo e migliorando quelle di che avea fatto tesoro nelV esercii zio di quesf arte per lo spazio di presso a venti anni. Mi venne allora in pensiero che non sarebbe stato forse disutile né discaro a tutti coloro che imitana gioielli di oreficeria antica lo avere in alcune pagine le notizie da me raccolte, coir aiuto delle quali meglio si farebbero ad intendere la diversità degli stili e le differenze che distinguono anche ne' più piccoli e comuni oggetti, le epoche varie deW antichità. Ora io non ho creduto per la pubblicazione di questo scriUereUo poter scegliere giorno migliore che quello natalizio di Voi, padre mio, a cui lo dedico, po- nendovi in fronte il motto che da noi, vostri figliuoli, fu inciso sopra una colonnetta della nostra villetta PER FARTI ONORE e ciò mi pare tanto più acconcio quanto che a Voi si deve il rinascere di questa libera arte, nuova in Eu- ropa, che riproduce le bellissime forme e lo squisito la- voro degli antichi ornamenti d' oro e di gemme , i quali come fanno prova della civiltà degli Italiani in tempo da noi oltre ogni immaginare remoto , così attestano che sempre vivo è in Italia, e massime in Roma, il culto delP arte e della gloria antica. DELL'OREFICERIA ANTICA. PARTE PRIiMA. I. La nuova oreficeria surta in Roma, è la perfetta imitazione dei lavori arcaici in oro e in gemme pre- ziose, disposti ed ordinati secondo le età diverse dellVarte antica, per modo che dallo stile di ciascun lavoro o gioiello si riconosca a qual tempo e a qual popolo esso appartiene. Ricordiam di volo quai fos- sero gli antichi popoli che meglio coltivarono V ore- ficeria. Le ricerche dei più dotti archeologi non basta- rono insino a qui a sollevare altro che un lembo del velo ond* è celata T origine dei primi abitatori d'Italia. Solo ci è noto che si ebbero comune la culla con gli altri popoli del mondo: la qual cosa ci è resa mani- festa dalla somiglianza dei monumenti i cui avanzi si ritrovano in diverse lontanissime parti della terra. Le mura pelasgiche, gli avanzi di Cuma, le tombe di Etruria, le mine di Ninive, i templi indiani, le piramidi egizie, e i ruderi che tuttodì si scoprono nel Messico, presentano al riguardante cosiffatta ana- - 8 — logia di forme, di stile e di metodo, nell'opera della costruzione, che ci è forza inferirne Y unità del ge- nere umano tutto disceso da una sola famiglia, e cresciuto in popoli e nazioni diverse, che si distesero su la faccia del globo. Questa unità ancor meglio che dai grandi mo- numenti è comprovata dai più minuti lavori di oro, e dai gioielli meglio conservati che si trovarono, non sono molti anni trascorsi, nelle tombe nuovamente scavate in Etruria, e nella Magna-Grecia, i quali so- migliano assaissimo così nella forma come nella ma^ niera con t^ui son lavorati , alle gioie che adornano le antiche divinità indiane, agli ornamenti rinvenuti a Ninive dall' illustre Layard, ed a quelli ancora di Egitto dissotterrati dal meritissimo ed infaticabile Mariette. In effetto chi oggi non concede che in Oriente nascesse la umana civiltà? Ma per quali vie e per quali catastrofi si spandesse poi nelle diverse parti del mondo, non è intento mio d'investigare, bastandomi aver fatto notare che i lavori d'oreficeria più antichi sono se non uguali almeno simili presso tutte le nazioni primitive, e che quelle popolazioni dovettero alle ricchezze accoppiare la conoscenza di alcuni speciali processi e chimici e meccanici , e che finalmente gli antichi ornamenti giunti in sino a noi ci palesano manifestamente come per la eleganza delle forme e la squisitezza del lavoro fra tutti gli altri primeggiano i gioielli di Grecia e d' Italia. II. Rispetto alla nostra penisola tra i popoli più an- tichi sono, come abbiam detto, gli Etruschi, la cui storia è involta nella densa oscurità delle origini. Di loro il Micali afferma che a T origine degli Etruschi stava già avviluppata presso gli antichi in grandis- sima incertezza. » (Voi. I, cap. 7.) Nondimeno tanto i riti di cui si ha qualche memoria, quanto gli arne- si, gli ornamenti, gli utensili, ogni cosa che di essi ci è pervenuta, attestano che per venire a prendere stanza in Italia migrarono dall' oriente, e a fan cer- » tissima testimonianza che i civili Etruschi da lunga i> mano attendevano a quegli studi ed a quelle arti » che sono mezzo di decoro e di potenza alle na- » zioni. » (Ib.) I Greci adulatori della grandezza romana chia- marono barbari i prischi Italiani, ed asserirono che la mitologica progenie degli eroi greci avea trapian- tato in Italia la civiltà ellenica per mezzo di Ercole, di Evandro e di Enea. Onde la storia, i costumi e le arti degli Aborrigeni, dei Tirreni, degli Osci, degli Etruschi, dei Sanniti e dei Sabini, furono poste in oblio, perchè meglio grandeggiasse Roma, e la sola stirpe latina. Così col volger dei secoli , si venne per- dendo insino alla tradizione italiana, e dei primitivi popoli d' Italia, non altro mantenne alcuna languida ricordanza che ì loro sepolcri, i quali rinvenuti e scavati di tempo in tempo, offersero agli sguardi cu- — 10 - riosi de' tardi nepoti alcun vestigio del genio, della religione, e delle costumanze dei sconosciuti proge- nitori. Donde abbiam potuto rilevare che in quell'età da noi così lontana , le arti che nascono in seno alla ricchezza, e mirano alla più delicata fattura degli or- namenti erano con rarissima eccellenza praticate, poiché le opere che di quegli artefici rimangono, ci porgono esempi per la parte esecutiva del lavoro ini- mitabili. III. Ancorché la barbarie che per alcuni secoli durò in Europa appresso alla caduta dell'impero romano, spegnendo al tutto le antiche tradizioni, abbia reso di molto più difficile il riconoscere quali arnesi, utensili ed ornamenti fossero veramente propri di questa o di quell'epoca, nondimeno gli studi e le ricerche più recenti dei dotti ci hanno fatto abili di sentenziare sicuramente che l' arte dell' oreficeria era già in de- cadenza nel secolo di Augusto, e però non giunse al colmo della perfezione se non presso gli Etruschi , e gli abitatori della Magna-Grecia, nei primi tempi di Roma, col decadere della potenza dei quali anch'essa scemò di pregio, come si vede essere in ogni tempo succeduto di tutte le arti ; le quali fioriscono nel fio- rire della libertà e della civiltà dei popoli, e col venir meno, o morir di questa, si guastano e muoiono. In effetto le escavazioni di Pompeia ci hanno mostrato oggetti di stile greco-romano, inferiori a — 11 — quelli che in Etraria e nella Magna-Grecia si rin- vennero , ed anche in quegli ornamenti pompeiani che più rassomigliano ai greco-italici, sebbene si riscon- trino le forme più belle, e similissime alle vetuste (il che fa prova che durò per alcun tempo T imitazione dei tipi arcaici) il lavoro manuale è di assai minor perfezione, onde si deduce che lo scadimento era di già cominciato. Gli ori poi dell' epoca imperiale di Roma, oltreché hanno carattere e stile notabilmente diverso, non sostengono per ninna guisa il confronto degli ornamenti e dei gioielli più antichi. IV. Quando un corpo si guasta, non uno ma lutti i principii e gli umori ond' è informato si corrompono. Così venendo di più in più a guastarsi, e ad appros- simarsi air ultimo sfacimento il romano imperio, si corrompeva sempre maggiormente insieme al costu- me e alla virtù militare e civile ogni disciplina ed ogni esercizio di buone arti. Dal terzo al sesto secolo dell'era volgare, i lavori spettanti all'arte di che di- scorriamo sono facilmente riconoscibili , perchè in essi molto più di valore ha la materia che l' opera dell'artefice, e fu il tempo che si fecero anella, ar- miUe, ed altri ornamenti in oro di peso gravissimo e al tutto straordinario: perchè si riponea lo sfoggio della ricchezza nella quantità dell' oro, non già nel- r eleganza della forma. Per questa medesima cagione si trovano pochi di tai gioielli, avidamente cercati e — 12 — rapiti dai barbari che venuti cento volte a correre e saccheggiare le nostre terre, cento volte carichi di bottino si ritornarono tra le selve e tra le montagne. V. I Cristiani della chiesa primitiva ancora gloriosi e benedetti per la povertà loro, non ebbero modo né desiderio alcuno di usare ornamenti ed utensili pre- ziosi. Gli altari erano guemiti di terre cotte e dì bronzi, il pane Eucaristico eie reliquie spesso eran chiuse nelle bulle di rame; e i pochi gioielli di oro che si trovarono nelle catacombe di Roma, serbando nelle forme somiglianza con quelli del basso impero, sono così privi di ogni arte, che si possono parago- nare alle più rozze cose dell'età primigenia. Sopra cotali gioielli erano per ordinario ruvidamente incisi simboli cristiani e forse le teche, gli anelli e le fibule servivano ai fedeli di riconoscimento nei giorni della persecuzione e del pericolo. VI. A Bisanzio, nuova capitale deir impero che da romano si tramutò così a poco a poco in greco-orien- tale, le arti sofferirono sostanziali cangiamenti, e l'oreficeria, come le altre, perde i caratteri onde l'avea rivestita la tradizione antichissima italo-greca; ed assunse quelli così diversi provegnenti dalle scuole e dagli stili arabo ed orientale; divenne insomma - i3 — come le altre arti del disegno, bizaatina. Smalti , mu- saici, gemme e getti insieme congiunti a sfoggio di asiatica magnificenza usò questa , conservando nella disposizione generale degli ornati alquanto delle forme architettoniche della Grecia, e fu T anello che r oreficeria italiana antica congiunse a quella nuova del rinascimento. Gli artisti di questa scuola semi- barbara nello stile, ma che rappresentò pure sebben rozzamente i simboli e le imagini cristiane, fuggendo le persecuzioni degV imperatori iconoclasti , si ripara- rono a Venezia e nelF Esarcato, a vi piantarono la prima radice di quella tradizione bizantina che mo- dificata dair ingegno italiano produsse lo stile italo- longobardo onde vediamo ancora tante vestigie nelle chiese del medio evo, e che durò in Italia fino a Ci- mabue. VII. Passato il millenario dalla nascita di Cristo, e dissipati per sempre i timori che aveva fatto nascere la credenza di un prossimo finimondo, fondata sopra vecchie profezie, gli animi si trovarono disposti a ripigliare con novello vigore, Y uso, a dir così, della vita; e la ricerca, il lavoro e lo studio di quelle cose che servono a farla o meno incresciosa, o più allegra e dilettevole. Così le arti cominciarono non dirò a rifiorire, ma ad essere di nuovo coltivate promettendo a se stesse pivi splendido avvenire. Ebbe allora na- scimento r oreficeria cristiana per gli arredi ecclesia- — i4 — sticì, la qaale coltivata maggiormente nei claustri all'arte bizantina mischiò le severe linee dell'antica architettura , come si vede nei bei reliquari di Àqui- sgrana e di Colonia ed in tatti gii arnesi sacri di queir epoca. Circa il mille e duecento poi fiori il monaco Teo- filo il quale ci lasciava un buon trattato intorno al modo di lavorare i metalli preziosi, e la sua scuola fece a poco a poco avanzar l'arte della oreficeria che si andava lentamente dispogliando della rozzezza acquistata nei secoli di barbarie, insino a che nel se- colo decimoquinto rifulse sotto nuovo aspetto pel va- lore di una nuova e migliore scuola italiana creatrice di non più veduti prodigi, a capo della quale furono Maso Finiguerra, il Caradosso e Benvenuto Cellini. vin. I valenti capi scuola dell' arte dell' oreficeria al secolo XV aveano smarrito la tradizione delle scuole antiche, e non poteano avere sott' occhio gli ori di Yulci, di Chiusi, di Cervetri e di Toscanella, i quali erano tuttavia sepolti nelle tombe ignote de loro pri- schi possessori. E però si dilungarono interamente dallo stile greco, dall' etrusco e dal romano, e fon- darono una nuova maniera di operare in quest'arte, guidati solamente dal genio italiano, e armonizzan- dola con le forme sotto le quali risorgevano le arti sorelle. Fecero dunque studi, ed usarono metodi dagli — 15 — antichi al tutto diversi ; si valsero di nielli , del bu- lino, della cisellatura, del getto, e dei più svariati smalti. Sicché le opere loro riuscirono vaghissime, dove la materia preziosa era vinta dal lavoro libero e spontaneo dell' artista, senza che punto ricordasse né i disegni né i metodi propri dell' antichità. Ma insin dal tempo di Michelangelo cominciando a corrompersi la pittura, la scultura e T architettura, anche Y oreficeria seguitò lo stesso andazzo. Nel se- colo decimosettimo era già in compiuto decadimento, e perdeva ogni qualità, e direi così, ogni rimem- branza di buon gusto sotto la funesta dominazione degli Spagnuoli e degli Austriaci. E peggiorando a mano a mano ognor più e quasi derisa pel goffo ten- tativo di romanismo, o vogliam dire mal condotta imitazione dello stile romano in opere d'arte, messa innanzi per alcun poco dai Francesi al finire del se- colo passato, venne perdendo fino ai tempi nostri ogni carattere artistico per divenire schiava del ca- priccio e della moda, e rimanere una delle fonti o dei rami di solo traffico, e di misera speculazione. IX. Nei primi anni del secolo presente si tentarono a Napoli alcune prove per copiare esattamente gli an- tichi lavori in oro. L' orefice Sarno capitanò cotesta scuola, la quale aiutata da' consigli di dotti archeo- logi napolitani, e favoreggiata dalle richieste che di quei lavori facevano al Sarno gli stranieri, prosperò — i6 — per alcuni anni , ma noa saprei ben dir la cagione per cui a mano a mano venne in decadimento e si sciolse. Oli artisti che ne faceano parte si posero al- lora a restaurare le cose d' arte antiche , ed applica- rono anche V ingegno a falsificarle. In questa ultima riprovevole industria riuscirono a maraviglia, sì che Napoli divenne famosa per tali falsificazioni con sì fina astuzia condotte, adoperandovi terre colorate, acidi, e sali aurifici da rendere assai malagevole, e quasi impossibile il riconoscere se tale o tal altro og- getto fosse antico veramente o no, alle persone che non avessero lunga pratica dell' arte , e non fossero molto addentro neir archeologia. X. Nel 1814 mio padre, ancor giovinetto, apriva il nostro studio, e davasi ad imitare i gioielli di Fran- cia e d' Inghilterra , e non andò molto che seppe vin- cerli a paragone di lavoro. E già nel 1 826 parendo- gli troppo angusto il campo in cui si esercitava, si rivolse alle scienze chimiche cercandovi nuovi aiuti e metodi per avanzar Tarte sua. In queir anno stesso diretto nelle sue ricerche dal professor Morichini della romana università, e dalF abate Feliciano Scarpellini, direttore dell' Osservatorio capitolino, egli potè leg- gere air Accademia de' Lincei una memoria sopra i processi chimici del colorimento giallone deiroro, pre- conizzando quasi r applicazione deir elettricità alla pratica deli' indorare, ed altri fenomeni di simil na- — 17 - tura : previsione questa tutta sua propria di che gli fu porto encomio da parecchi giornali scientifici , tra cui mi piace annoverare la Reviie de Genève, perchè pubblicata nella patria del De la Rive, uno dei sco- pritori della moderna galvanoplastica. Ciò dimostra come insin d' allora a lui punto non andasse a versi il falso splendore che abbaglia la gente comune, ma non copre all' occhio delF artista il cattivo disegno e il peggior gusto. In quel torno la terra, che per tanti secoli avea ricoperto le maraviglie e i tesori dell' Etruria, ci ri- donò alcuna parte di essi. Ognuno che li vide rimase stupito dei bellissimi gioielli che si rinvennero nelle vetuste necropoli di quel suolo misterioso; e mio padre fu il primo cui venisse in pensiero di imitarli, anzi riprodurli con la maggior cura possibile. XI. La lode e i consigli di alcuni veri cultori del- l' arte , incuorarono mio padre a proseguire nelle sue ricerche sulF oreficeria etrusca , al che non gli fu di piccolo stimolo e conforto il giovarsi, direi così, co- tidianamente della dottrina e degli insegnamenti del duca Michel Angiolo Caetani , il quale noi riguar- diamo quasi come nostro maestro, perchè ci era di sicura guida nell'arte, come quegli chen'èintenden- tissimo. Così mio padre facea risorgere in Roma la italiana oreficeria che pigliando ad esempio gli orna- menti e i gioielli di più rara bellezza fra gli antichi 3 — 18 - nuovamente disotterrati, veniva dopo trentanni di non interrotti lavori a pigliare il nome speciale di Oreficeria Archeologica Italiana. Allorché venne scoperta ed escavata in Gervetri la tomba che porta ora il nome di Regolini Calassi , mio padre fu chiamato ad esaminare gli ori di pre- ziosissimo lavoro ivi trovati, e che poscia arricchi- rono il cimelio etrusco del Vaticano. Tale avveni- mento rilevò assaissimo nell'arte nostra, perchè ci die modo a conoscere i caratteri particolari delFetru- sca oreficeria , e die occasione a mio padre ed a mio fratello Alessandro di cominciare quelle indagini e quello studio sul modo di operare degli antichi in sì fatti lavori, che furono da noi poi sempre continuati , aiutandopi sì la cortese assistenza, come abbiam detto, dell'egregio duca Caetani, e sì le nuove sco- perte che vennersi poi facendo di anticaglie etrusche dal Campanari a Toscanella, e dal marchese Cam- pana a Ceri. XIl. I lavori deir oreficeria antica si possono distin- guere in due generi essenzialmente diversi; cioè or- namenti di uso e ornamenti di pompa funebre. I primi solidissimi e tali che il portarli non dovesse per lunghi anni guastarne punto la struttura e le for- me, là dove i secondi sono d' inimitabile leggerezza, e ci dobbiamo stupire che a sì fina e delicata ma- niera di operare fossero quegli artefici giunti, non pò- - 19 - tendo ìq niun modo i moderni fare altrettanto. L'uno e r altro genere di lavori son sempre in oro puro se sì riferiscono ai bei tempi dell' arte, e solo si trovano in oro alquanto misturato quando appartengono ad epoche di decadimento. Il modo di operare è però sempre proprio deli' antica tradizione ed assai diverso da quello che si vede ne' gioielli oggi da per tutto io Europa fabbricati: il lavoro dei quali diviso tra diversi operai, secondo che vi si richiede la stampa, il getto, r incisione, le gemme, la riunione dei pezzi e il pulimento, è piuttosto pieccanico che non vera- mente artistico, e per ordinario non da un artista, ma è diretto da un trafficante, il quale non ad altro mira se non al maggior lucro, e cerca di appagare gli occhi della gente volgare anziché produrre opera d' arte. Negli ori antichi, siano di Grecia o d' Italia, là materia è sempre vinta dal lavoro, la più fina ele- ganza , e il gusto il più squisito guidavano la mano dell'artista, mentre! rimbalzava a cesello figure ed ornati, disegnava con minutissime grane o con fili sottilissimi ogni maniera di linee rette o curve, facea cordelle, intagli e fiori, ed armonizzava sì le parti col tutto, ed univa sì l'eleganza alla semplicità che i suoi gioielli mirati d' appresso apparivano stupendi per sottigliezza di lavoro e alquanto da lunge mo- strovano pura, semplice e bell'unità di concetto. — -20 - XIII. Ei pare che gli antichi orefici avessero cogni- zione e facessero uso di agenti chimici e meccanici a noi del tutto sconosciuti , poiché essi aveano facoltà di separare e riunire Y oro in particelle quasi ad oc- chio nudo impercettibili, al che fare gli artefici mo- derni non sono ancor giunti. I fondenti che adopera- vano ci son parimente ignoti, e la maniera di lor saldature e filiere , anco esaminando sottilmente quei lor finissimi lavori è per noi come dire, un proble- ma. Gli ori etruschi dove son granaglie e filagrana , senza tener conto della eleganza nelle forme e della maestria nel cesellare, sol pel meccanico lavoro della mano ci costringono a confessare che gli antichi r arte nostra conoscevano ed esercitavano assai me- glio di noi. Appresso gV Indiani anche oggi sono degli ar- tefici in oreficeria che di lor costume fan vita noma- de, e portando seco ogni loro strumento, mettono of- ficina dovunque sìa porto ad essi lavoro e talora veggonsi accovacciati nella cucina o nel granaio di alcun ricco nabab dove con lunga pazienza, quale hanno da natura, adoperando un piccolo mantice e certi ferruzzi o cannuccie trasformano alquante mo- nete d'oro o rupie, secondo patrie e vetuste tradi- zioni , in ornamenti cordellati e granulati i quali ri- cordano, sebben rozzi e non eleganti, le bellissime forme de' gioielli antichi. L' orefice indiano ci fa dun- 21 — que per qaalche guisa congetturare qual fosse TEtru- sco e il Greco primitivo, il quale operava liberamente aiutato forse da pochi strumenti, ma guidato dalla buona tradizione , e non semplice operaio, ma più ve- ramente artista ingegnoso. XIV. Essendoci dunque noi proposti di ristorare quanto era da noi, e per così dire, rinnovare l'antica oreficeria, la prima cosa ci ponemmo alla ricerca dei metodi che doveano dagli antichi essere usati. Ci venne fatto di osservare che negli ornamenti di oro tutte le parti rilevate erano presso gli antichi sovra- poste cioè preparate disgiuntamente^ e poi messe su per mezzo di saldature, o di chimici processi, e non già rialzate sulla medesima piastra per via di stam- pa, di getto, o di cesello. Da ciò forse nasce quel non so che spontaneo, libero, e come artisticamente negletto che si vede neMavori degli antichi, i quali appariscono tutti fatti a mano condotta dal pensiero : laddove i moderni imprimono, direi, una certa inde- fettibile esattezza alle cose da essi prodotte, che ri- vela r opera degli istrumenti meccanici, e mostra quasi l'assenza del pensiero creatore dell'artista. Qui si richiedeva, dunque, di trovar modo a comporre, e saldare insieme tanti pezzi di oro diversi per forma e di tal picciolezza, quale, come abbiam detto, giunge insino air estremo. Facemmo prove innumerevoli, furono posti in — 2-2 — opera successivamente tutti gli agenti chimici, alcune miscele metalliche e i fondenti più vigorosi. Rovi- stammo gli scritti di Plinio, di Teofllo e del Gellini; furono con ogni cura osservati i lavori degli orefici Indiani, e di quelli di Malta e di Genova; non fu in- somma dimenticata veruna di quelle fonti dove si potesse attingere qualche buon insegnamento. Final- mente donde meno si potea aspettare ci venne alcuno aiuto efficace. Nascoso tra le più aite montagne degli Appen- nini, è un piccolo borgo che si chiama S. Angelo in Vado, dove si fabbricano gli ornamenti di oro e di argento di che si fan belle quelle montanine. Quivi par che si conservi almeno in parte T antichissima tradizione dell'arte di lavorare in oro ed in argento; e quegli artefici, separati in tutto dal commercio de'cittadini accolti nelle grandi capitali, ed anche nelle men vaste città di provincia; esclusi, per così dire, dal contatto delle cose moderne, fabbricano corone di filagrana, infilzate di margarite dorate, ed orecchini di quella forma speciale che si dice a na- vicella, con metodi quali forse furono gli antichi, poiché tali gioielli somigliano non poco a quelli rin- venuti ne' sepolcri greci ed etruschi , tuttoché per la eleganza delle forme, e pel gusto sia ben lungo che li eguaglino. Furono da noi quindi chiamati a Roma alcuni operali di quel borgo i quali, non conoscenti de'mezzi meccanici usati generalmente dai moderni, ci riusci- rono infinitamente più abili a copiare gli ori antichi 23 che non son gli artefici stranieri, cui mai non potemmo far comprendere quello stile disinvolto che è il pre- cipuo carattere deir antica oreficeria. E mi piace qui rammentare fra que laboriosi e pazienti Marchigiani venuti di sant'Angelo uri certo Benedetto Romanini, il quale fu maestro dei suoi metodi tradizionali ai primi nostri operai e discepoli Romani in que- st' arte. XV. Gli avvenimenti del 1848 furono cagione di al- cuna sosta negli studj e nelle ricerche nostre; ma frattanto facendosi allora quasi ogni opera d'arte simbolo di pensieri e di affetti patriottici, ed avendo noi pure a tal fine assai lavori prodotti e venduti, ciò fu cagione che alquanti de'nostri modelli, anche per privata industria degli operai dimorati presso di noi, si spargessero per tutta Italia. Come poi quel nuovo andamento di cose si fu soffermato, o meglio, rivolto addietro, ponemmo ogni cura a riprodurre nella qualità, nella forma de' nostri gioielli e negli usi a cui avrebbero servito, tutte le diverse fasi del- l' antica oreficeria, cominciando dal più vetusto stile etrusco e procedendo all' italo-greco, al greco, al romano del tempo d'Augusto, al romano del basso impero, al cristiano delle Catacombe, al bizantino, e venendo insino all' epoca del risorgimento, imitando i lavori come degli altri orefici italiani, così princi- palmente di Benvenuto Cellini. u - XVI. I lavori di musaico trassero anche a se la no- stra attenzione: perciocché generalmente parlando il gran numero di coloro che in Roma sono dati al- l' esercizio di quest' arte, si trovavano a quel tempo pressoché senza lavoro, ed eran costretti di conten- tarsi al far lavori di picciolissima entità che per lo più consistevano in copie di cose moderne prive di gusto e di spirito artistico, e dove T imaginazione e r inventiva non aveano campo da esercitarsi. Noi ci demmo dunque ad imitare, applicando il musaico al- l' oreficeria, le antiche maschere sceniche, e compo- nemmo riproducemmo con esso molte e diverse iscrizioni latine e greche. Le quali cose non tarda- rono ad essere per ogni dove copiate. Se non che per alcune disavventure onde fu colpita la nostra fa- miglia, ci fu forza interrompere dì nuovo questa sorta di studj. XVII. Neir anno 1 858 ci fu dato finalmente di poter riprendere e proseguire fino ad oggi le nostre inda- gini. Principalmente gli ori etruschi, greci e ro- mani furono soggetto di nostre accurate osservazioni e imitazioni. AUor comparando potemmo vedere come nei gioielli etruschi fosse impareggiabile la squisita finezza dei granulati e delle cordelline, come nei greci risplendesse maggior eleganza, sottigliezza ed omogeneità di forme, e un particolar pregio quanto agli smalti ed alle figurine; d come per ul- timo nei romani prevalesse una certa bellezza direi così più maschia e soda , che si rivelava con forme più larghete con più grande solidità di lavoro. Gli scavi e i ritrovamenti di cose antiche fatti a Guma, ad Ostia, ed a Kertch in Crimea ci dettero materia di operare, e furono cagione di farne rico- noscere per greci (di Guma o di Kertch) alcuni ori che prima co' più dotti archeologi avevamo creduti di Etruria, ed in seguito per altri scoprimenti e confronti alcuni che avevamo per imperiali romani del buon tempo ci si dimostrarono appartenere al basso impero, o alle colonie lontane. Non ci fu diffi- Cile copiare perfettamente i gioielli dell'antica Roma, ma vollero speciale fatica, perseveranza e lunghis-* sime prove gli etruschi e quelli di Grecia a rifarne le cordelle, gli smalti e le granelline. E non è ancor molto che riguardando a traverso una lente gli ori etruschi del nostro proprio cimelio, io stesso potei scorgere come eravi nelle zone di spesse granelline ( le quali sono un carattere speciale dei gioielli lavo- rati da quei pazienti artisti) delie mancanze come son quelle che fa lo smalto nello schizzamento del- l' oro. Tale osservazione dettemi di pensiero in pen- siero soggetto a tentare un nuovo processo , a fin di riprodurre quel granulato finissimo, creduto finora impossibile ad essere anche da lunge imitato dagli orefici moderni. Cominciai subito cotai novelle prò- — -26 — ve, c i risultamenti che ne otlenni furono soddisfa- cienti per guisa da potersi oggi dire in massima parte sciolto il problema che da qaasi venti anni ci teneva a se rivolti. XVIII. Il discoprimento delia Basilica di S. Alessandro, e i ritrovamenti fatti nelle catacombe di Roma ci mossero il desiderio di ricopiare con tutta esattezza alcuni di queMavori, che sebben rozzi in arte, hanno rimpronta di tale schietta ingenuità quale §li rende per qualche rispetto ammirabili. Allora facemmo scopo di nostro studio i giti antichi lavori in musaico che si trovino nelle basiliche di Roma, ed a ciò fummo grandemente confortati dall'illustre Oulsufieff, esimio cultore dell' arte greco-orientale, il quale pri- mo ci consigliò e ci sospinse a riprodurre ne' gioielli nostri i musaici della scuola bizantina. Così ri- ducendo i lavori di oro a cassine facemmo che il mosaico vi spiegasse tutta la ricchezza ond'è capace, e in questa maniera di operare fummo via sempre guidati dalla scorta sicura del Duca Caetani. Il com- pianto signor di OulsufieflF non potè, per la repentina sua morte, veder come riuscisse a bene quel che egli avea suggerito, e quanto se ne giovassero gli artefici musaicisti, i quali erano già ridotti, come ab- biam detto, a mìseramente copiare disegni da mo- derne porcellane per vilissimo prezzo. - 27 — XIX. Già erano alcuni anni che oltre agli studj ed ai lavori sopra indicati, ci occupavamo sotto la dire- zione di mio fratello Alessandro ad imitare i gioielli deir epoca del risorgimento italiano dal XIII al XY secolo. Meglio a ciò incuorati dal buon successo che avevamo ottenuto nei lavori italo-bizantini, ci demmo con più ardore a questo diverso genere d'imitazione, e come già possedevamo una certa collezione di ori copiati da quelli etruschi, greci, romani delValto e del basso impero e italo-bizantini, così ancora in breve spazio ne avemmo di quelli che si riferiscono al risorgimento italiano, e che sono ad un tempo il limite a cui si deve arrestare l'orefice e l'artista di buon gusto e giudizio. Perciocché subito dopo Michel Angiolo Buonarroti, l'oreficeria, in quella guisa che fecero tutte le arti , comincia a declinare e sem- pre più si guasta, invilisce, e diviene a mano a mano quasi arte solamente meccanica giungendo insino ai tempi che torrone, nei quali smarritosi il principio tradizionale, gli artefici italiani pur testé servil- mente imitavano le opere dell' oreficeria straniera con vergogna loro che avevano in casa per sei volte avuto diversi e tutti bellissimi esempi da imitare. Noi non crediamo perciò avere perduto l'opera nostra come devoti cultori dell'arte, nemici di - 28 — Ogni privilegio, e memori del bel detto dell' antico filosofo AAMrAAIA • EX0NTE2 AIAAQ20T2IN • AÀAHAOIS. ' nulla serbammo per noi, e ci confortiamo nel pen- siero che altri vorrà segaitarci, ed avanzarci poi nella via a cui ci siam messi, e che più non abban- doneremo, quanto ci duri la vita. * Coloro che hanno lumi gli daranno a vicenda. Platone I , De Bep. — 29 - PARTE SECONDA. Avendo generalmente discorso delF antica ore- ficeria, ed in breve accennato per quali periodi sto- rici sia passata, non credo inutile parlare più partico- larmente di ciascan ornamento, e deir uso cui era presso gli antichi destinato. Gli antichi usarono ornamenti da porsi in capo, alle orecchie, al collo, ai polsi, alle braccia, alle dita , ed anco alle gavoUe dei piedi : essi ebbero pure arredi sacri di grande magnificenza. Dei loro gioielli alcuni furono per cagione di onorare il valor militare o la virtù civile , altri per semplice sfoggio di ricchezza, o per compiacere alla vanità femminile, altri infine per onorare le esequie e distinguere il cadavere dei defunti co' segni di pompa, di autorità, di grandezza che era stata lor propria durante la vita. Comincerò dunque come appresso dagli orna- menti del capo; e noverati i gioielli di che adorna- rono la persona, e gli arredi propri delle pompe sacerdotali, toccherò anche delle gemme, delle pietre incise, dei carnei, e per ultimo dello scarabeo che vediamo spesso riprodotto sia in oro, sia in ferro, 30 - sia in ismalto, sia in pietra, tanto presso gli Egizi e gli Etruschi, quanto in Grecia ed a Roma. 1. DIADEMI. Si disse diadema {Bi&Syiiiot) una bianca zona di lana o di tela usata anticamente per cingere la testa (Fascia alba). Troviamo in Plinio che Bacco (Pater liber) ne fosse V inventore, e Diodoro Siculo aggiunge che quegli Tusò come rimedio contro al mal di capo, efiPetto dell' abuso del vino ; e tuttavia ammettendo o ripudiando questa congettura avvalo- rata dal trovarsi le antiche sculture di Bacco sempre con tale ornamento , possiamo senza errore conside- rare tal diadema, pur nella sua più semplice forma, quale uso di origine orientale. I re d' Oriente furono i primi che in segno di potestà reale portarono la zona bianca o diadema. Alessandro tenea la fasciatura ricchissima dei re Persiani ; un aspide era sul dia* dema dei Faraoni Egizi: qual ornamento regio il diadema fu posto sul capo di Giove e sopra quello di altre divinità dell' antico paganesimo: finalmente venuto dair Oriente prima coi generali di Alessandro, e poi cogli Arabi, se ne cinsero il capo i principi assoluti del mondo occidentale, che abbandonando le corone greche e le italiane del valore e del me- rito lasciarono la fascia alba ; ed accrebbero lo splen* dorè del diadema con oro, perle e gemm^ preziose, — 31 e però ne fecero quella così detta corona regia o imperiale che da alcuni secoli è il segno della somma podestà civile in Europa. II. COnOME, La ghirlanda (corona) fu ornamento ambitis- simo negli antichi tempi cominciandone T uso da Giano inventore altresì della moneta e dei vascelli : fu portata così nelle feste come nei funerali; e final- mente si die in premio del sapere, del valor mili- tare , e della virtù civile. Gli eroi rappresentati dagli antichi marmi, e dai fittili, son coronati, come dia- demate sono le figure di donne. I Romani ebbero molteplici forme di corone pei diversi fini a cui le fecero servire: quali per esempio la trionfale, la ci- vica, la navale e molte altre, noverandone gli eruditi insino a venti di nome diverso e dissimili di gran- dezza e di forma. Gli Etruschi, i Greci ed i Romani dettero la ghirlanda in premio delle gesto eroiche , e quegli che la ottenne ebbe diritto di esser deposto nella tomba decorato della sua corona. Essi usarono ancora ghirlande funeree , dette dai Romani corona funebris osepulcralis, che portavano solamente nell'ese- quie per esser sepolte insieme al cadavere, le quali erano sempre formate da gruppi di foglie delle piante simboleggianti l'immortalità. Gli Etruschi le facevano di oro. III. SPII.I.01VI. Gli Spilloni [acus crinales) che erano fatti sì di metallo, come di osso, di avorio e di legno, diversi per grandezza e per forma , servivano alle studiate acconciature nella istessa guisa che le forcinette ai nostri giorni: abbiamo riprova certissima di tale uso in una bella capigliatura muliebre perfettamente acconciata che si trovò in una tomba romana, e che ora si può vedere intatta nella biblioteca vaticana. Questa maniera di acconciare i capelli fu tradizio- nalmente conservata in Italia fino al presente; e Marziale accennò ad essa quando neir epigramma Tenuja ne madidi violent bombycina crines Figat acus tortas , sustimatque comas. descriveva unti i capelli dai profumi, rilegati e adorni di nastri. L'ago crinale fu occorrendo pure istru- mento di punizione, poiché sappiamo che le donne romane adirandosi contro le schiave quando non sapessero bene intrecciare i capelli, o adattar loro le vestimenla, con esso le. pungevano, e talor fino al sangue. 33 — IV. ORKCCHIIVI. Nelle contrade di Oriente tale ornamento era usato da ambo i sessi, e massimamente presso i Lidii, i Persiani, gli Assiri, i Libii ed i Cartaginesi. Nei paesi occidentali esso fu portato più specialmente dalle donne: gli Etruschi pare che si attenessero a questo costume a preferenza di quello orientale, dacché non credo aver mai veduto figura etrusca d' uomo con quel femminile ornamento. I Romani considerarono per certo al modo etrusco o greco l'orecchino qual vezzo muliebre. I primi Cristiani come i moderni riformatori, riprovarono T usanza di martoriare le orecchie delle povere fanciulle, e la condannarono quale avanzo di barbarie propria del paganesimo, però non si conoscono orecchini che fossero usati dai primitivi cristiani. Ripreso il ge- neral costume di portarli nella corruttela dei tempi di mezzo, forse per cagione delle invasioni barba- riche, sempre si mantenne poscia in occidente. In ogni tempo gli orecchini furono soggetto di lavoro fino ed elegante, come quelli che porgono modo a grande varietà di forma, e possono agevolmente arricchirsi di gemme preziose. Ed appunto per la maniera di lavorar questo ornamento furono assai pregiati gli orefici etruschi ed i greci che in tal ge- nere arrivarono alla maggior perfezione possibile tanto pel disegno quanto per la esecuzione. 3 — 34 - V. WLLB. Si chiamò dai Romani Bulla awea un meda- glione di forma lenticulare in oro, sorretto da una fascia ripiegata in forma di sella pure di oro. Alcune volte la fascia è lavorata di cordelle, spesso è liscia, e ve ne sono alcune con lettere sopra poste che formano o nomi o iscrizioni. La bulla d'oro era segno di nobiltà, portandola i patrizi: i plebei T usa- vano in bronzo, od in cuoio, e la ricevevano dai padri loro qual testimonianza di afiPetto : conteneva qualche ricordo, od un amuleto. Ancora la bulla passò in uso presso i primi cristiani che la usarono in metallo a custodia del pane eucaristico ed in cuoio per le reliquie dei martiri, così la tradizione fé giungere insino a noi tal costume, posciachè gli abitini di lana ricamati che si portano oggidì al collo sotto le vesti da alcuni divoli, e che massimamente sono in uso ne monasteri, può dirsi che abbiano preso il luogo delle bulle, e servano all' uflScio stesso. Presso i Romani la bulla d' oro era lasciata dai fan- ciulli che entravano nell'adolescenza in un con la pretesta, e spesso allora veniva consacrata agli iddii lari ad altra divinità. La ereditarono essi come tanti altri ornamenti ed usi dagli Etruschi : in effetto innumerevoli sono le bulle trovale nelle tombe d' Etruria; e ne abbiamo prova certa in quelle che - 35 — sappiamo rinvenute a Yulci ed a Tarquinia. Nei vasi e nelle terrecotte etrusche sono dipinte figure di ambo i sessi con più bulle appese al collo, spesso per un laccio solo, alcune volte in doppio ordine : ma la maggior maraviglia di questi medaglioni etru- schi è la varietà delle forme: poiché ve ne ha con teste umane in rilievo, con teste di animali, con ghiande, conchiglie e lenticchie; alcune di forme fantastiche, ed altre con soggetti grafiti, cesellati o lavorati a finissima granaglia. Erano agli Etruschi segno di nobiltà come ai Romani , od erano semplice sfoggio ed ornamento? Per quanto è conceduto di poter scernere attraverso il buio dei secoli par che si debba affermare essere stato T una e V altra cosa insieme: furono portate dai fanciulli nobili secondo ne fa testimonio la statuetta di bronzo conservata in Vaticano, e per altro furono anche infilzate nelle collane muliebri, e ciò si scorge dalle composizioni fittili che giunsero fino a noi. VI. coirli ANTB. Le collane furono sempre usate ad ornamento, e però si cercò di farle in ogni tempo elegantissime con fino e studiato lavoro. Presso le nazioni bar- bare, e presso i popoli che ebbero più antica civiltà, quai furono gl'Indiani, gli Egizi ed. i Persiani si portarono esse dagli uomini come dalle donne : i Gieci ed i Romani ne fecero più specialmente uso nei sponsali ; le donne etrusche se ne adornarono con fasto orientale, e ce ne porgono larga testimo- nianza quelle svariatissime che si conservano an- cora. I Romani dissero monile baccatujn quelle infil- zate di margarite di oro e di pietre di che si abbellivano le abitatrici de' sette colli. Le antiche sculture e le medaglie greche , i vasi cumani e le tombe della Magnagrecia ci hanno offerto varie e tutte ricchissime ed eleganti forme di questo orna- mento quale era usato dai popoli Elleni. Nel compa- rare le belle collane etrusche , greche e romane coi lavori della moderna oreficeria, altri dovrà convin- cersi che la forma degli ornamenti fu in ogni tempo guidata e retta dalle norme delF arte eccetto che negli ultimi tempi in cui la moda capricciosa ha per- vertito intorno a questa materia il buon gusto e il sano giudizio. VII. TORaiJB. E la torqua {torques) un ornamento di oro formato o da un filo incavato a linee spirali a foggia di vite, oppure da un fascio di fili sottili rintorti a spira sopra un altro filo che li sostiene, ed in ambo i casi presenta la forma quasi di una cordicella fatta per cerchiare il collo : termina sempre o con due uncinetti di svariate forme, o con due semplici col- - 37 — larine. Della torqua fecero uso come segno di distin- zione i Persiani, i Galli ed altre nazioni asiatiche e boreali. Essa era chiamata Tore dai Brettoni e dagli antichi Irlandesi. Virgilio, descrivendo un ornamento che portavano i giovani Troiani, dice : In pectore swmmo, Flexilis ohtorti per collum citculus aurii. I Romani dopo aver combattuto coi Celti conferivano a chi più si fosse coperto di gloria nelle battaglie quesf ornamento, onde il nome di Torquato che as- sunsero molti Romani; e spesso rinvengonsi tombe di guerrieri romani su cui è scritto il numero delle torque guadagnate da essi nelle vittorie riportate sugli eserciti dei Celti e dei popoli orientali; ma tutto questo non deve far credere che i Romani avessero dai Galli tale ornamento. Se la statua del Gallo mo- rente che ora si conserva nel museo Capitolino ci fa testimonianza che la torqua fu ornamento nazio- nale dei Galli, troviamo che era già ab antico segno di distinzione così in Oriente come in Occidente ; e gli Etruschi altresì la usarono come si .vede in molte opere in plastica tra quelle che ci sono pervenute ; e ciò è provato in più special mòdo dalla figura se- migiacente di bronzo scavata nella necropoli di Pe- rugia, che rappresenta un personaggio etrusco avente al collo una perfetta torqua, e da ciò credo si possa asserire che la torqua passò dagli Etruschi ai Ro- mani come distintivo di onore, qual cosa mi sembra comprovata dalla frase latina ricevuta per tradizione 38 — e adottata ancora da moderni, i quali chiamano Eques Torquatus colui che fu insignito del collare dei presenti ordini cavallereschi. Vili. Gli antichi Italiani, i Greci e gli Orientali uni- vano insieme le due parti della clamide con un ago fissato a una specie di semicerchio rigonfio e ter- minante in un lungo uncinetto che tien costretta la punta dell'ago: tale è quell'ornamento che si disse fibula, e che dette origine alla moderna fibbia. Ge- neralmente si usarono di bronzo, di argento e di oro ; le donne romane se ne servivano per V amictus e indutus, gli uomini sol per Y amictus. Alcune volte le donne le portavano sulle due spalle, ma per Y or- dinario se ne portava una sola : spesso le matrone ne aveano una filiera giù per le maniche della tunica per maggior ricchezza e leggiadria. La fibula in pro- gresso di tempo fu altresì posta a fermare e sorreg- gere la tunica sopra il ginocchio. Le borchie tonde spillate vennero dopo le già descritte, ma i Romani dettero a tutte il nome comune di fibula. Presso gli Etruschi la fibula fu ornamento usatissimo poiché se ne trovano di ogni forma e di svariate dimen- sioni: avevano essi borchie tonde con un cilindretto vuoto al centro, le quali forse erano cucite sulle vesti: avevano le fibule arcuate, ed avevano fibule — 39 — borchiate rotonde di cui alcuni beili esempi si am- mirano nei pubblici cimeli. I Celti ebbero una fibula diversa, di foggia particolare, anch'essa con l'arco e r uncinetto, e che sappiamo usata ab antico in Francia, in Scozia ed in Irlanda. Tale ornamento riunendo le due parti della tunica o del manto, ed aggruppando così in un punto solo il drappo, era cagione che da quel punto scendesse con somma eleganza un partilo di pieghe sempre abbondevoli, maestose e varie, onde tanto si ammirano le antiche sculture. IX. AIIHII.I.B. Questo ornamento dagli antichi era usato ai polsi e alla parte superiore del braccio, tanto dagli uomini quanto dalle donne. In Oriente vi furono popoli che ne portarono ancor sui garretti , costume che vediamo mantenuto insino al dì d'oggi presso le donne arabe. Fra tutti i popoli antichi e moderni poi furono i Medi ed i Persiani quelli che più sfog- giarono in armille : essi le portarono al braccio ed al polso guernite di gemme, oppure formate sempli- cemente di grosse infilzate di perle che si univano con piccoli dischi di oro tempestali di gemme. In Europa i Galli le tennero anch' essi al braccio ed al polso. I Sabini portavano gravissime armille di oro al braccio sinistro e ne abbiamo a riprova la do- — 40 — manda di Tarpeja. Intorno a questa stessa epoca ì Sarnii ne usarono ricchissime nelle solenni feste che celebravano in onore di Giunone. Non sembra che in Grecia fossero usate dagli uomini, ma le donne greche che tanto amarono la vaghezza degli orna- menti, avevano armille di ogni genere, di varia materia, di stile diverso, e diversamente gemmate. In una commedia latina che Plauto scriveva secondo il costume greco, le armille sono descritte in un corredo muliebre, ed alcune di esse distinte dalle altre col nome di sphinter termine greco derivante dal verbo apiyyu) (costringere), la quale appellazione viene spiegata da ciò che Y ornamento così nominato si adatta, e tiene comprimendo il braccio di chi se ne adorna : e in effetto tali armille o son formate da un intera zona di metallo che stringe l'antibraccio, ovvero imitano ora cordicelle di fili spirali, ora una fascia od un filo a foggia di serpente ed in ciascuno di tali casi si ravvolgono più volte intorno al braccio comprimendolo: laddove quelle che sì pongono ai polsi, benché ve ne siano alcune di fattura simile alle suddette, pure generalmente si usava fissarle con imcinetti o fermagli. Festo accenna armille per guernire i polsi e sphinter per ornare il braccio, ma sembra che questa divisione fosse propria dei cor- redi muliebri. Tanto negli oggetti di oro e di bronzo, quanto nei lavori fittili abbiamo esempi bastevoli per potere asserire che gli Etruschi usarono le armille con fasto orientale : essi ne ebbero per li polsi e per le brac- — 41 - eia, forse ancor pei garretti ; ne ebbero di quelli annulari, e ne usarono di quelli fatti a spirale ; se ne trovarono nelle necropoli etrusche tanto di quelle che sono evidentemente per uso di viventi quanto di altre senza meno destinate unicamente ad ornare i cadaveri nell'esequie e ad essere seppellite con ^ essi ; ve ne hanno alcune ad uso di fanciulli che sono di cosi leggiadro lavoro da far maravigliare chiunque le vegga. I Romani e le Romane usarono armille di oro, di argento e di bronzo. Spesso leg- giamo nella loro istoria che furono presentate ar- mille di oro ai valorosi guerrieri ; così Livio descri- vendo una battaglia termina dicendo che finalmente il console dopo la vittoria distribuì corone' ed ar- mille di oro a due centurioni e ad un manipolo di astati ; ad altri che erano o troppo giovani o stra- nieri, di condizione inferiore, donava cornette ed armille di argento (X, 44). Plinio dice che le corone e le armille di oro erano date al cittadino romano, e non ai barbari ed ai forestieri {H, N. 10, XXXIII). Valerio Massimo ci conservò la formula usata nel conferir quei premi, ed è Imperator te argenteis' armillis donai. I lottatori ed i soldati usarono armille di bronzo, ma certo non fu per semplice ornamepto, avendo esse forma tutta particolare manifestamente intesa a coprire e salvare il braccio dai colpi dell' avversario. Queste erano in forma di striscio spirali che dal polso salivano per tutto il braccio fino alla spalla : ve ne - 42 - erano eguali a queste ma più corte destinale forse per ricoprire il solo pesce del braccio ; e per eguale uso erano quelle enormi che spesso vediamo in bron- zo. Sarebbe però errore il credere armille muliebri quelle gravissime che non si poteano sostenere se non dal braccio muscoloso e forte dei guerrieri e dei gladiatori, ai quali poi erano queste non di rado a segno di onoranza o come premio di fatiche militari * o di giochi donate. L' induzione esposta è confermata da alcuni bassorilievi antichi rappresentanti gladia- lori in atto di combattere, che hanno al braccio de- stro le dette spire, e da altri che rappresentano ri- tratti aventi sospesi al collo per una larga fascia due armille della maggior grossezza, quasi a mo' di tor- qua gladiatoria. Le donne romane usarono anche le armille per sostenere amuleti, e Plinio nota diverse maniere di rimedi che si credevano ottenere inserendo certe so- stanze particolari entro quelle che si portavano di continuo. Fu per tal superstiziosa credenza che Ne- rone per consiglio di Agrippina spesso portava sul braccio diritto un armìlla di oro che celava le spo- glie di un serpente. Le donne di alto lignaggio usa- rono armille di gran pompa la cui zona metallica era ornata di gemme e di altri ornamenti sontuosi. I doni di ambra (juccina grandià) che, secondo Giovenale, venivano inviati alle dame nei giorni natalizi loro, erano probabilmente armille di ambra e di oro. Ma la corruzione romana e V invasione dei barbari fecero nelle proscrizioni, nelle devastazioni, nelle confische — 43 — e nei saccheggi perire i segni dell' opulenza anterio- re, onde a noi con la descrizione di quelle maravi- gliose pompe restano solamente alcuni gioielli che i sepolcri e la terra chiudevano, salvandoli dalla rapa- cità dei barbari quasi perchè ne giungesse ai posteri notizia. X. AIVKLI4I. Inutil opera farebbe chi volesse dire chi fu T in- ventore di quest' ornamento ; e però dobbiamo sol contentarci di affermare che primieramente in Asia ed in Africa si usarono gli anelli, come ne abbiamo certo indizio e dalla storia e dalle scoperte fatte a Ninive e nelle piramidi. Si legge nella genesi che il patriarca Giuda consegnava all' ignota Tamar l'anel- lo, il bastone e V armilla : che con F anello reale Fa- raone conferiva a Giuseppe parte del suo potere; che Assuero per onorar Mardocheo gli pose al dito un anello. Dice Tucidide che i re Persiani onoravano i loro sudditi donando loro anelli coi ritratti di Dario e di Ciro. Sembra che i Greci del tempo di Omero non ne portassero, poiché quel divin pittore dei tempi eroici e mitologici non ne fa cenno; dicesi che in Asia fosse usato universalmente, ma non sappia- mo in qual tempo ciò accadesse ed in qual modo. Al tempo di Solone il portare V anello- e Y arte di falsi- ficarne i segni ond' erano incìsi era cosa comune : — i4 — posciachè Diogene Laerzio parla di un ordinamento, di quel Sommo che proibisce agli artefici di falsare il suo proprio anello. Quinc innanzi in Grecia ogni uo- mo libero ebbe Y anello non pure <;ome ornamento, ma altresì ad uso di suggello: è però incerto se in tempi così remoti si portassero gemme incise a tal fine, es- sendo più probabile che la incisione dei segni e degli emblemi fosse eseguita sul metallo stesso di cui era formato Y anello: costume che vediamo conservato in ogni tempo. Sembra che le donne di Grecia non usas- sero le anella tanto comunemente quanto gli uomini, e che i loro fossero men costosi; in effetto se ne menzionano nella storia di quelli muliebri di avorio e di ambra. Dicesi che i Lacedemoni non altri che anelli di ferro usassero in ogni tempo ; e in nessun altra provincia della Grecia si restrinse come presso di loro r uso di tale ornamento a questo od a quel ceto di cittadini. Gli Etruschi fecero anelli di gran pregio ; se ne trovarono di ogni genere, e ne possiamo vedere di gemmati, di oro massiccio, e di gravissimi con pie- tre incise di straordinaria bellezza ; ma se fossero di semplice uso o di pompa non sappiamo, e dobbiamo abbandonarci a congetturare sopra Y uso che ne fe- cero i Romani pigliandoli da loro. Sebbene Plinio dica che questi apprendessero a portare gli anelli dalla Grecia, e che altri autori asseriscano che que- st' uso fu introdotto in Roma dai Sabini, narrando la tradizione che questi portavano anelli gemmati di straordinaria bellezza, io seguo Floro che dice Y uso - 45 — degli anelli essere stato recato a Roma dalla vicina Etruria sotto il regno di Tarquinio Prisco ; però sem- bra fuori di dubbio che i primi Romani sia per po- vertà per rigidezza di costumi non portassero se non anelli di ferro, i quali erano destinati allo stesso ufficio che quelli de' Greci e forse degli Etruschi, avendo ciascun cittadino romano diritto di usare il suo sigillo. Nei primi tempi della Repubblica erano soltanto gli ambasciatori presso i popoli stranieri che ricevevano un anello di oro, sopra cui erano forse in- cisi emblemi allusivi alla dignità loro ed alla Repub- blica; ma cosi fatti anelli non erano usati se non nei cerimoniale ; in privato T ambasciatore era cittadino romano, ed usava solamente Fanello di ferro. In progresso di tempo l' anello d' oro fu tenuto dai Senatori, dai Magistrati, ed infine da ogni cava- liere, e per lungo tempo lo jus annuii aurei restò lor privilegio esclusivo, dove la plebe non avea che anelli di ferro o di bronzo ; ma T anello di ferro fu con- servato pur fino air ultimo tempo della Repubblica da quegli uomini nobili che si dicevano amanti della semplicità antica. Mario portava Fanello ferreo quando trionfò di Giugurta, e molte famiglie patrizie segui- tavano tal costume e non usarono mai anelli di oro. Al cader della Repubblica furono gì' Imperatori inve- stiti della facoltà di concederne Fuso. Tiberio fece una legge suntuaria con la quale ordinò, non potersi conferir Fanello di oro che a quelli che avessero sempre posseduto per due non interrotte generazioni quattrocentomila sesterzi; ma questa legge ebbe Fef- — 46 — fello di ogni legge proibitiva, e 1' ambizione di aver diritto ad usare lo annulus aureus divenne irresisti- bile. Nelle lunghe vicissitudini dell' impero romano troviamo che Severo ed Aureliano conferirono ai sol- dati, principale sostegno della loro possanza, io jus annuii^ ed infine che Giustiniano concesse a tutti i cittadini dell'impero un tanto ambito onore! !! Ogni volta che uscivano di casa gli antichi aveano il costume di suggellare con V anello gli scri- gni ed i luoghi ove teneano cose preziose o provvi- gioni, sospettando forse non meno dei loro propri schiavi che delle persone avveniticcio : i segni che si facevano sopra gli anelli erano in tal caso svaria- tissimi, come ne abbiamo prova in quelli che giun- sero fino a noi. Simbolo di potere presso il capo del- l' impero romano era una sorta di anello o sigillo di Stato che alcune vojte esso concedeva di usare a quelli che erano assunti a far le veci loro ; un sena- tore a ciò destinato lo tenea in custodia e ne era detto curatore. L'anello nuziale, che alcuni dissero cingulum ed altri chiamarono vinculum, era gene- ralmente di oro purissimo e fatto a circo (linea in- finita) per simboleggiare la fedeltà coniugale e per rammentare che infinito dev' essere l' amore negli sposi : r uso di essi è antichissimo, mentre lo vedia- mo proprio degli antichi Ebrei, de' Greci e de' Ro- mani. Eerckmann asserisce che in Roma aravi costu- me di consegnare in mano alla sposa novella l'anello pronubo in oro purissimo, nel punto medesimo in cui un altro anello di ferro si inviava alla casa de suoi — 47 - genitori, qual ricordo di modestia e frugalità casa- linga : ancora sappiamo che il Romano usava presen- tare alla sposa anelli di bronzo o di ferro aventi la forma di chiave, quale investitura di supremazia nelle cose familiari; e di tali anelli moltissimi son trovati negli scavi. Questo credo che sia l'anello nuziale di ferro menzionato dal Kirckmann. Molte superstizioni andarono congiunte agli anelli e ciò fu più in Oriente ed in Grecia che a Roma : non pochi fecero traffico lucroso col vendere anelli, fabbricati dalle popolazioni delF isola di Samotracia, che si cre- deva che avessero potenza magica e facoltà di ren- der salvi nei pericoli quelli che ne portassero : que- sti anelli erano fatti di vilissima materia, dacché trovasi che costarono una dracma, ed erano usati dai superstiziosi di ogni ordine di cittadini. L' uso degli anelli fu accolto dai primi cristiani ai quali Clemente Alessandrino nel secondo secolo dice : « Noi dobbia- mo portare un solo anello al piccolo dito perchè ci serva da sigillo. » Fin dai più remoti giorni del me- dio evo troviamo che la investitura episcopale face- vasi simbolicamente per mezzo di un anello d'oro ed un zaffiro, od un rubino che portavasi al quarto dito, costume d'ignota origine, ma che forse pro- viene dair uso che si ebbe, durante V impero romano, di dare un anello al tribuno militare per atto d' in- vestitura. Era forse poi ad onorificenza che venivano dati certi anelli ecclesiastici enormi , fatti di bronzo dorato e guerniti di smalto. Fra gli anelli trovati nelle tombe etrusche, ve — 48 ~ ne sono di quelli in oro formati a foggia di nodi o di serpenti, oppure gemmati in diversi modi: se ne vedono spesso con scarabei o con pietre o con vetri incisi della più rara bellezza. Si trovano frequente- mente con targhe in oro di quella forma che noi di- ciamo gotica, cioè ellittica ed acuminata, detta dagli stranieri ogiva, con soggetti rilevati a cesello sul- r oro, con onici della medesima forma, ma lisci e contornati di oro ; ve ne sono certi particolari che paiono pili atti ad essere usati per sigillo che per anello, e hanno su le targhe ovali incisioni o rilievi della forma più arcaica e quasi egiziana. Gli anelli greci si distinguono fra tutti per la eleganza delle forme e la bellezza delle incisioni. I Romani usarono anelli di oro massiccio o vuoto, anelli di argento, anelli con targa di oro su cerchio di altro metallo, anelli di argento con punte interziate di oro, alcuni di pietra di un sol pezzo, ed il maggior numero con pietra incida e posta sopra ogni sorta di metalli ; ve ne erano con ritratti degli antenati o degli amici; ve ne erano con monete incastonate o con iscrizioni in- cise; in alcuni casi esprìmevano allusioni simboliche alla storia reale o mitologica della propria famiglia. "Siila aveva un anello ove era inciso Giugurta fatto prigioniero: Pompeo ebbe un anello su cui erano in- cisi tre trofei, ed Augusto prese per emblema in pria una sfinge, poi il ritratto di Alessandro il Grande, e finalmente il proprio ritratto, cosa che quindi fu usata da molti imperatori. Nella maggior corruttela dei costumi così in Grecia come a Roma si predi- - 49 — lesse tra gli ornamenti in special modo Y anello : le donne in ambedue i paesi sfoggiarono nella varietà e quantità di essi : gli uomini portarono anelli fino a coprirne tutte le dita : si fecero anelli per sigillare con gemme incise, in cui T arte greca rivelò tutta la grazia e finezza possibile ; si videro anelli parlanti ov' erano simboleggiati sia gli attributi di Venere o quei di Cupido, sieno parole od emblemi d'amore; portarono anelli anche i bambini, e si posero anelli alle dita degV idoli : si ebbero anelli gemmati di ogni sorla, e ve ne furono anche certi dove era inserito un cristallo naturale adamantino che serviva nei fe- stini per scrivere sopra i bicchieri di cristallo il no- me di coloro a cui si faceano brindisi ; si portarono anella di grandezza smodata, anelli vi furono per ciascun giorno della settimana col nome del giorno inciso sì che potessero servire da calendario, anelli leggieri per Testate, anella gravi per l'inverno, co- me se alcune grammo di più o di meno valessero ad alleviare il caldo ed il freddo! Spesso degli antichi anelli si veggono molti che hanno alcun pregio quanto all' arte dell' oreficeria ; ma in genere si può affermare che sì negli anelli etruschi come nei greci e ne' romani il pregio mag- giore sta nelle gemme incise. - 50 - XI. Tutti i diversi culti religiosi nati ab antico in Oriente ebbero sacre funzioni di straordinaria pom- pa. Le caste sacerdotali doverono per certo da prin- cipio giovarsi, per imprimere nelle menti il terrore delle vendette celesti, de* cataclismi onde ogni poco era scossa la terra ancor giovinetta, e per li quali o sorgevano d' improvviso montagne eruttanti fuoco , o vulcani semispenti cangiavansi di subito in laghi sulfurei, ovvero tremuoti mutavano al tutto la fac- cia dei luoghi, e le penisole si sparavano dai con- tinenti dando il passo air impeto dei mari. Così di- sposte le genti al timore e alla superstizione, facile ai sacerdoti fu rivolgerle non loro profitto alF idola- tria, e imprimere in esse un' alta venerazione verso i ministri degli Dei, mediante il fasto onde si circon- darono, e la magnificenza che air estemo culto con- giunsero. Dair Asia i misteri e le pratiche religiose , per i popoli migranti, e per i sacerdoti che gli capi- tanavano, furono recate e stabilite in Europa dove il primitivo splendore dei riti si accrebbe anzi che Sce- mare, e massime nei prischi tempi della civiltà itala e greca può dirsi che ì popoli di queste due regioni ponessero tutte le loro ricchezze nelle pompe sacer- dotali, essendo le preghiere, i sacrifici, gli oracoli e i vaticini cose che si riferivano non meno allo Stato — 51 - che ai singoli cittadini, anzi sovra a queste era fon- data ogni antica monarchia o republica, come quelle che da principio furono senza fallo teocratiche. Quindi tanto più lo Stato era prospero, ed esteso F imperio, tanto più le funzioni di cui si discorre crebbero in magnificenza come ci rivelano i paramenti, i simboli, gli utensili e i gioielli per uso di sacerdozio che giunsero sino a noi. Ma gli scavi di Etruria che negli arnesi, nelle pitture e nei fittili tanto ci han serbato degli antichi ornamenti sacerdotali, pressoché nulla aggiunsero al poco già noto circa al nome e air uso di quelli. Il Micali dice che « la macchina di tutto il governo etrusco era fuor di ogni dubbio di istitu- zione sacerdotale. (Voi. I, pag. 133.) Dopo tale sen- tenza di uno fra i più accurati narratori della storia antica italiana non saprei che altro aggiungere per far meglio concepire Y idea del fasto e delF opulenza in cui visse, e di cui si ammantò la casta sacerdo- tale in Etruria. Possiamo congetturare che siano ar- redi, ornamenti ed arnesi spettanti alla religione il grande pettorale che è nel museo etrusco del Vati* cano, i due bellissimi stalli del museo Campana, tutte le collane di straordinaria grandezza, e le grandi bulle di forme e dimensioni svariate che veggonsi nei varii cimelii, come pure gì' innumerevoli vasi, le patere, i bicchieri e le pìccole ciste di oro, dì argento e di bronzo rinvenute nei sepolcri. E tal moltitudine di oggetti può dare qualche indizio sì della molli- plicità dei misteri e delle funzioni sacre, e si dei te- sori che doveano racchiudere gli antichi templi, de- — 52 — vasta ti in pria dai barbari, e poi distratti dalF intol- lerante zelo d'ignoranti faalori di una nuova religione trionfante. xn. I popoli di Oriente fecero sempre grande uso, per cagione di adornarsi nelle feste, nei conviti ed in ogni altra solennità, di gemme preziose che sono produzione e ricchezza delle terre loro ; e gli abita- tori del Continente Europeo doverono o per via di conquista o di mercatura da essi pigliarle, imitando il fasto e le pompe orientali. Le grandi fiere annuali della Siria fornivano air Occidente insieme agli altri prodotti delle Indie anche le gemme. E di una di tali fiere Ammìano così parla: « Batra, municipio di Antemusia, fondata dagli antichi Macedoni, posta a picciol distanza dalV Eufrate ed abitata a quel tempo da ricchi mercatanti, è luogo dove m occasione della grande festa ch^ annualmente vi si celebra al prin- cipiar di settembre si aduna in fiera grandissima turba dì genti, di ogni diversa condizione, a fin di comperare le merci là inviate dagli Indiani e dai Ci- nesi, e tutte le altre cose che sogliono ivi portarsi e per terra e per mare. » Ora, quali furono le gemme piti ricercate dagli antichi, e che si avevano in maggior pregio? Nulla su ciò possiamo con certezza affermare non racco- - 53 — glieodosi veruna precisa notizia dei nomi dei gioielli che ci tramandarono gli autori delF antichità. Fra le antiche gemme che i moderni han ritrovate sono cristalli di diamante nativo, perle, rubini, zaffiri, smeraldi, e tutte le gemme di minor pregio lavorate, liscie e spesso incise. Gli antichi adoperavano il diamante per lavorar le altre gemme, ma in qualità di ornamento l'usavano solamente in cristallo natu* rate, poiché non aveano notizia del metodo che hanno i moderni per lavorarlo, e che è invenzione fatta nel secolo XV da Luigi da Berghem. Presso i Romani come oggi presso di noi tal gemma era di tutte le altre la più preziosa , e si aveva come « il dono il più caro. Innanzi al tempo di Plinio non se ne pò- teano adornare se non i principi più ricchi e poten- ti : ma il grande accrescimento che sotto i Cesari ebbe il traffico delle merci orientali, lo rese quindi più comune. Abbiamo nella nostra collezione di anelli antichi uno molto elegante, che senza fallo è di arte romana, nel quale è un cristallo di diamante grezzo colla punta sporgente in modo che par si dovesse adoperare come stilo da graffir sul cristallo : pò- trebbesi perciò credere esser di quelli che servivano nei banchetti, allorché facendo i convitati libazioni, scriveano il nome del propinato sul bicchiere di ve- tro che poi si spezzava. I diversi corindon che oggi si hanno scientifica- mente per un sol gruppo di gemme, fra gli antichi si tenevano per altrettante qualità di pietre quanti ne sono i colori, e ce ne riman la prova nella co- — 54 — mune appellazione loro di ametiste, topazi, smeral- di , zaffiri e rubini , che diconsi orientali secondo che la sostanza medesima onde son formati piglia il co- lore paonazzo, giallo, verde, azzurro e rosso. I quarzi dì egual colore, che noi diciamo pietre d'Oc- cidente, si dividean per essi in altrettante famiglie nelle quali distingueano poi le gemme in maschio e in femmina, secondo che il colore fosse piti o men bello. Tutti i corindon gli aveano dal mare Persico, come altresì le perle e i diamanti. Lo smeraldo (smaragdus) Io ricavavano dall'Egitto e dall' Oriente; quello dell'Egitto si aveva in cristalli molto grandi se non di colore perfetto: oltre al servirsene per or- namento, lo usavano ancor gì' incisori allorché in qualche difficii lavoro avendo affaticata la vista la ricreavano, posando lo sguardo nel suo bel verde cristallino ; in effetto il colore verde riposa e rinfre- sca r organo della vista. Da cotal costume nacque forse r opinione che gli antichi avessero lenti di smeraldo, poiché dicesi di Nerone che riguardasse lo spettacolo a traverso così fatte lenti : ora sappia- mo che queste erano dagli antichi fatte ed usate di berillo, che di colore verdaceo, cristallizza in pezzi piiì grandi e più trasparenti dello smeraldo e per essi era del medesimo valore di questo, ma si riscon- trava pili adatto a tal bisogna. Claudio sopra tutte le gemme pregiava lo smeraldo e la sardonica, la quale ultima fu primieramente posta in uso presso i Romani da Scipione Affricano. La pietra che gli an- tichi chiamarono Supphirm non era il moderno co- — 55 — rindoiì azzurro né il quarzo di egual colore noto col nome di zaffiro d' acqua : esso era il moderno lapis- lazzuli, come chiaramente si raccoglie dalla descri- zione che ne fa Plinio, il quale dice che proviene dalla Media (d'onde si estrae pur oggi) u è opaco, » sparso di piccole macchie di oro, si trova di due » qualità, cioè di un azzurro chiaro e di un azzurro » oscuro, ed è stimato disadatto ad essere inciso, » perchè maculato di piccole punte di una sostanza » pili dura ed eterogenea. » Bi pare che gli antichi avessero grandissima facilità di lavorare le pietre preziose, ondechè usa- rono a mo' di margarite infilzate per servir di col- lane gli onici, le ametiste, le granate e le plasme. Quest' ultima pietra è una calcedonia trasparente^ tinta in verde da un ossido metallico, la quale spesso air aspetto si può confondere con gli smeraldi men belli, e il suo nome italiano è la corruzione delV an- tico suo nome latino gemma prasina. La malachite era detta dai Romani crysocolla, cioè colla delF orò, perchè la usavano a saldar questo. E noto che Ne- rone in una delle sue follie facendo sul teatro da capo della fazione verde, volle che T arena fosse ri- coperta da uno strato di polvere di crysocolla. Da quel che ho detto s' intende come gli anti- chi nominassero le pietre preziose, le distingaesséro, e le ordinassero diversamente da quello che facciam noi. Questa parte dell' oreficeria richiede uno studio speciale, al quale possono aiutare i diversi trattati che vi sono su le pietre e le gemme ; né mio propo- ^ — 56 — sito è qui stato altro che darne un cenno per invitare a ciò gii studiosi. xm. Generalmente parlando, difficile oltremodo sa- rebbe stabilire norme e regole certe a fin di ricooo- scere Y epoca alla quale appartiene questa o quella gemma incìsa. A ciò fa mestieri non pure il gusto e r esercizio dell'arte, ma sì ancora una lunga espe- rienza, ed avere avuto per le mani un grandissimo numero di antiche pietre con incisioni. La qual cosa porge, come a dire, il bandolo della matassa ed in- serisce nelF artista un sentire così fino intorno a questa maniera di lavori che rende sicuro e direi quasi infallibile il suo giudizio : nondimeno si può così alla meglio fare alcune osservazioni che sieno di qualche lume su tal materia. Le gemme incise di grandezza maggiore di quelle che si potessero incastonare in un anello, non sono pressoché mai antiche veramente, percioc- ché gli antichi per ornamento ed isfoggio di ricchezza usarono solo le gemme in cui la bellezza consisteva nella rarità e nel colore; di pietre dure incise non si adornarono se non in forma di cameì di rilievo, e vedremo il come, i quali anche in distanza fanno scorgere nettamente ciò che in essi è scolpito, lad- dove le pietre incise in incavo fa bisogno il più spesso — 57 — osservarle non pure da vicino ma con la lente, tanta è la finezza del lavoro, e queste servivano per uso di sigillo negli anelli; onde le pietre incise alquanto grandi danno a ragione sospetto intorno air antichità loro. L'uso di che discorriamo era comunissimo, e questa è la cagione del gran numero di piccole pie- tre incise che si son ritrovate, specialmente nella campagna romana. Gli artisti delF epoca moderna ebbero costume d'incidere e lavorare pietre di gran dimensione , quando intendeano voler fare opera ec- cellente, e le piccole pietre che furono incise in que- sto lasso di tempo, cioè dal medio evo in poi, hanno molto minor pregio, e paiono fatte per le persone meno facoltose e meno intendenti, laddove il contra- rio, come abbiam detto, succedeva presso gli antichi; solo una eccezione è da fare che si riferisce ai Gno- stici e Basilidiani del secondo secolo dell'era volgare, i quali usavano amuleti da appendere al collo o in- torno la persona, da essi chiamati Abracvas, ed erano pietre figurate o incise di ogni grandezza che sim- boleggiavano per loro lo spirito creatore, e son quasi sempre in diaspro verde o in agate nere. Il rovescio della gemma era curato dagli antichi col minor garbo e cura, lasciandola essi tanto alta quanto eir è naturalmente , facendola soltanto tonda e pulita quanto abbisognasse per legarla col metal- lo, e ciò perchè diminuendo la spessezza non si di- minuisse alla pietra il vivo e il bello del suo colore. Il rovescio delle pietre antiche è sempre lucido, per- chè allustrato con un processo particolare a noi ignoto; -^ 58 — ed a tale effetto estremamente accomodato , ma sotto al lucido presenta sempre le linee parallele impres- sevi dal piano smerigliato sul quale erano spianate. Le pietre moderne in quella vece ricevono cotal finito sopra un istrumento fatto a tornetto, il quale per una ruota di rame girante in piano e cospersa di olio e polvere di smeriglio, liscia e lucida ugualmente, onde non si dà luogo alle linee sopradette. Tuttavia il pu- limento uguale della superficie di una gemma non è argomento bastevole a giudicarla tagliata e lavorata nei tempi moderni , perciocché non pochi orefici del- l' età passata , ebbero in uso di ripulire la super&ie delle più belle gemme antiche togliendone via le graf- fiature affinchè dovesse meglio brillare nel gioiella dov'essi le voleano legare: questa operazione assais- simo nuoce air intaglio, perchè oltre al renderlo di dubbia antichità, altera il disegno abbassando la su- perficie della pietra. Si potrebbero citare lamentevoli esempj di superbe incisioni interamente guaste e de- turpate secondo Testimazione degli artisti, perchè le pietre più risplendessero agli occhi del compratore ignorante. Per altro, aver una pietra la superficie spolita e graffiata, non è argomento sufficiente dell'essere antica; perciocché si trovarono diversi metodi a fin d' imitare e falsificare questi segni usando bagni di acido, polvere di smeriglio ed altro , insino per quel che si narra, a far trangugiare qualche pietra mo- derna a polli gallinacei, essendosi creduto che nello stomaco di questi animali per effetto degli acidi che — 59 — operano la digestione, le pietre acquistassero quella esteriore apparenza e ruvidezza che sovr esse suol produrre il corso dei secoli. Ancora hanno alcuni artisti moderni sopra antiche pietre, il cui intaglio era di pregio non grande, nuovamente inciso e ritoc- cate alcune parti, e fatto cosi acquistare alla pietra l'apparenza d'un lavoro assai più fino del tempo migliore; tale inganno si può scoprire per mezzo delle lenti che faranno conoscere i varj punti dove il lavoro è stato ritoccato ed incavato maggiormente. Insomma la frode in questo genere di cose può facilmente ingannare anche i più esperti: e in ogni modo è d' uopo riposarsi sulla fede e su Y onestà di chi ha trovato la pietra, poiché io non saprei dare altro sicuro segno dell antichità di un'incisione fuor- ché una certa morbidezza ed apparenza, quasi direi come di materia vellutata che la superfìcie delle gemme acquista dopo lunghissimo tempo. Tuttavia mi pare che più deir antichità vera o fìttizia e sem- pre incerta , si avesse da pregiare la bellezza e squi- sitezza del lavoro come quella che si manifesta da se stessa e non può ingannare alcuno. XIV. CJUWI. Sono chiamati carnei que' basso rilievi intagliati sopra gemme, o pietre dure o marmi: vi ha pure una specie particolare di conchiglie ( chama) molto — 60 — tenere, le quali presentano strati diversi per colore e per durezza, onde vi si possono rilevare con bel- lissimo effetto fini bassorilievi, e però diconsi carnei di conchiglia. Sulle pietre dure o gemmarie la inci- sione si eseguisce mediante il diamante e lo smeri- glio al tornetto, sulle conchiglie ed i marmi si fa coi ferri da intaglio. Alle imitazioni scolpite che si fanno in vetro si dà il nome di Carnei in pasta. Seneca narrando un fatterello concernente un certo Maro e un certo Paolo {De beneficiis, III, 26) dice di quest' ul- timo che avesse al dito Tiberii Ocssaris imaginem ectypam atque eminente gemma, Cotal perifrasi par che provi non esser questa ma- niera d' incider molto usata a quel tempo. Camillo Leonardo, che scrisse nel 1502, parla di una gemmce chaimaincB, significando con tale appellazione ciò che noi diciamo oggi cameo o gemma incisa di rilievo. Donde poi si origini il nome di cameo e perchè dato a questo genere d'intagli, mi pare inutile il ricercare non potendosene avere cognizione certa, e soltanto può supporsi che dalla conchiglia chama discenda il volgar cameo, mentre T incidere questa conchiglia non è moderna invenzione. I piccoli carnei antichi son molto rari in agate, più comuni i grandi che par servissero d' ordinario per uso di fermaglio in arnesi difensivi di guerra, ed allora hanno la forma ovale o tonda , i soggetti scolpitivi sono mitologici o ritratti, e si direbbero bei medaglioni. In effetto, quando questi rilievi sono ri- — 61 -r- tratti, si trovano talora somigliantissimi a quei coniati nelle monete del tempo; onde si potrebbe credere che fossero eseguiti dal medesimo artista, il quale forse avesse prima scolpito suIV agata il tipo delle sue medaglie. Questi fermagli hanno spesso un sottil foro che li trapassa al fondo e che dovea servire per adattarli sul metallo. Gli antichi usarono molto lo scolpire tazze e vasi di bellissime agate con magni- fici camei e fu in questi che si sfoggiò la più grande ricchezza e però Y arte migliore : i frammenti dei quali, che si son trovati nei tempi moderni, spesso sono rotondati e ridotti della forma dei fermagli. Dopo il risorgimento delle arti i camei si usa- rono quali ornamenti muliebri, e furono dapprima o rozze copie di antichi soggetti, o ritratti di grandi personaggi; ma gli artisti del cinquecento divennero appresso così eccellenti in questa sorta di lavori, che moltissimi dei loro camei 5" Parte Prima 7 Parte Seconda. I. Diademi 30 II. Corone 31 III; Spilloni 32 IV. Orecchini 33 V. Bulle 34 VI. Collane 35 VII. Torque 36 Vili. Fibule. 38 IX. Armine 39 X. Anelli 43 XI. Arredi sacerdotali 50 XII. Gemme 52 XIII. Gemme incise 56 XIV. Camei 59 XV. Scarabei 63